Aratura (Foto anni 40)
Questa fotografia di vita rurale richiama le ambientazioni e le atmosfere dei quadri di Giovanni Segantini e fissa uno dei lavori stagionali più faticosi ed impegnativi prima della meccanizzazione dell’agricoltura.
L’animale – direttamente attaccato all’aratro – veniva accompagnato da due persone, l’una che conduceva, l’altra che reggeva l’attrezzo.
Per secoli nelle nostre campagne, per dissodare il terreno si utilizzava l’aratro a versoio, che pratica il taglio e il rovesciamento di una fetta di terreno e che si diffuse lentamente in Europa a partire dall’VIII secolo, assieme al collare rigido, una’innovazione che permise l’impiego del cavallo anche in agricoltura.
Più tardi la Rivoluzione Industriale portò all’aratro interamente in ferro, che si diffuse massicciamente in Europa agli inizi del diciannovesimo secolo.
L’aratura con i cavalli (nelle nostre zone non si usavano i buoi) si è protratta sin dopo la seconda guerra mondiale, ma dopo gli anni ’50 questa pratica è stata velocemente e definitivamente abbandonata a favore dei moderni aratri trainati dai trattori.
Quando per il lavoro venivano impiegati gli animali, si ripetevano gli antichi stessi gesti di generazione in generazione:si cominciava al levar del sole, si attaccava il cavallo alla scilòria (l’aratro) e si iniziava l’aratura sfruttando le ore più fresche della giornata, giacchè il tempo ideale era la fine di agosto, a raccolto avvenuto.
L’aratura con il cavallo era un lavoro lento e pesante, si andava da una cavedagna all’altra dei campi, si girava e si tornava indietro, ma, a seconda del risultato che si voleva ottenere ,si poteva cominciare ad arare dal centro se il campo doveva essere colmato o dai lati se si voleva creare al centro un solco.
Il contadino spesso rimaneva alla vigna (così veniva chiamato il campo, in reminescenza delle coltivazioni esistenti prima del flagello della fillossera a fine ottocento) tutta la giornata, pertanto veniva raggiunto a mezzogiorno dalla moglie, che provvedeva a portargli il pranzo. Alla stessa maniera nelle ore più calde del pomeriggio, solitamente un figlio recava bevande per combattere l’arsura.
Testo curato dal Gruppo “Pro Memoria Nerviano”
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